Una chef-star del Quattrocento

A cura di Federica Garofalo
Immagine fornite da Elisabetta Carli

C’è perfino chi l’ha definito il “Carlo Cracco del Medioevo”, anzi, proprio il celebre cuoco di Creazzo presiede un’associazione a lui intitolata, che si dedica a promuovere non solo la sua figura, ma tutta la tradizione culinaria italiana: Martino de Rossi, o Martino da Como, meglio noto in tutto il mondo come Maestro Martino, autore di un Libro de arte coquinaria che ebbe un successo immediato già alla sua epoca.

Per conoscere meglio lui e la sua cucina, e come possa essere riportata al nostro tempo, scomodiamo una donna che lo conosce come pochi, un’ “anacronista creativa” per sua stessa definizione, la versiliese Elisabetta Carli, storica dell’arte che ha trovato il modo di unire la sua formazione storica alla passione per la cucina e di farne il suo lavoro, offrendo così la possibilità di provare un banchetto medievale o rinascimentale a casa propria.
«Maestro Martino è il primo cuoco di cui si sappia nome, cognome e origine, – ci dice Elisabetta. – le fonti ci dicono che nacque nella valle del Blenio, nell’attuale Svizzera, intorno al 1430 e morì alla fine del secolo. Si potrebbe definire l’anello di congiunzione tra la cucina medievale e quella rinascimentale, un uomo colto e raffinato: fu il cuoco personale del patriarca di Aquileia, lavorò alla corte sforzesca di Milano e persino a quella papale a Roma. Sappiamo anche di un suo soggiorno nella Napoli aragonese, ma le fonte sono molto vaghe in proposito: sappiamo soltanto che lui, Italiano del Nord, ebbe una formazione meridionale, con il suo apporto di sapori di provenienza araba e catalana.»

In fondo, se ci pensiamo bene, l’attività di una cuoca a domicilio può essere accostata a quella dei cuochi del Medioevo e del Rinascimento, che non disponevano certo di propri “ristoranti”, ma operavano “al domicilio” di un gran signore.
«Con la differenza che il cuoco, nel Medioevo, a differenza di quel che accadrà poi in età barocca, è considerato un po’ un personaggio di serie B, poco più di un servitore, – celia Elisabetta. – Essere un cuoco, però, nemmeno oggi è uno scherzo: basta vedere quanto sia complesso aprire un’attività, almeno in Italia. Anche per questo ho puntato sull’home restaurant, ma principalmente perché posso lavorare con piccoli gruppi di persone, raccontare le storie nascoste dietro ogni piatto che metto in tavola, far loro sperimentare rituali tipici dei banchetti medievali e rinascimentali come il lavaggio delle mani, cosa che certo non potrei fare ad esempio con trecento persone.»

Tornando a Maestro Martino, qual è l’importanza del suo Libro de Arte Coquinaria?
«Per la prima volta vengono indicati dosi e tempi di cottura, – risponde Elisabetta, – e proprio per questo qualcuno ha pensato che fosse un libro divulgativo, non destinato agli addetti ai lavori, per i quali di solito il linguaggio è molto più generico e criptico. È comunque difficile oggi, almeno per me, riprodurre le sue ricette, proprio perché con i mezzi moderni, modi e tempi sono diversi, un forno a gas è più gestibile rispetto a un camino. Diciamo che lui era molto più bravo di me.»

Maestro Martino, dà molta importanza ai colori delle sue pietanze, e molti sono rimasti sorpresi di trovare, all’interno del ricettario, indicazioni di preghiere da recitare per alcune operazioni.
«Tranquilli, non è un segno di superstizione, – rassicura Elisabetta. – Le preghiere sono indicazioni temporali: all’epoca ad esempio un paternoster di solito non era recitato ma cantato, e non c’è niente di più matematico del canto gregoriano: non disponendo di cronometri per verificare tempi di marinatura e di cottura, se la cavavano abbastanza bene. Quanto al colore delle pietanze, per Maestro Martino è fondamentale: ad esempio, in Quaresima è molto attento a mantenere le pietanze di colore bianco, colore penitenziale. I colori hanno dunque valori simbolici, e Maestro Martino ci gioca anche un po’: ad esempio, presenta un piatto con ravioli tutti di colori diversi, o in cui il colore della pasta di rivestimento è diverso da quello del ripieno. Lo scopo è l’effetto sorpresa, che ancora oggi stupisce e diverte i commensali.»

Questo riguardo all’aspetto, ma i sapori? Come reagiscono i commensali di oggi a sapori quanto meno inusuali per il palato moderno?
«Si parte sempre con un po’ di diffidenza, più a causa dei pregiudizi sulla cucina medievale che di altro, – spiega Elisabetta, – ma poi si rimane quasi sempre stupiti di scoprire sapori certamente diversi da quelli della nostra cucina mediterranea, ma al tempo stesso molto simili. Maestro Martino eredita tutti gli ingredienti della cucina medievale, uso delle spezie compreso, ma introduce delle novità come l’acqua di rose; io ho provato a farla da sola, è stato un vero disastro.»

I disastri, però, sono normale amministrazione nella vita di un cuoco. Chissà che non sia accaduto anche a Maestro Martino…

Ricetta – Caliscioni di Maestro Martino

Per la pasta: 100 gr. di farina 00,
due cucchiai di zucchero,
acqua di rose q.b

Per il ripieno: 90 gr. di mandorle,
90 gr. di zucchero,
acqua di rose q.b

Mescolare farina e zucchero ed aggiungere acqua di rose per formare una pasta morbida da stendere sottilmente. Lasciare riposare una mezz’ora e intanto preparare la farcia: passare al mixer mandorle e zucchero per ottenere una polvere sottile. Aggiungere acqua di rose per creare una crema.Tagliare con un piccolo coppapasta dei cerchi di circa 10 cm. di diametro, farcire con il ripieno e sigillare bene. Cuocere in forno a 170° per 20 min. ca.
Sono dolcetti gradevolissimi ed ancora più belli ” havendo qualche forma di legno ben lavorata con qualche gentileza informandoli e premendoli di sopra parerano più belli a vedere”. Somigliano molto nel sapore ai Ricciarelli di Siena, quindi adatti anche a comparire sulle tavole delle feste.

Per saperne di più:
Arte Coquinaria – il blog di Elisabetta Carli;
Sito dell’associazione “Maestro Martino”;
Maestro Martino, Libro de Arte Coquinaria, a cura di Luigi Ballerini e Jeremy Parzen, Milano, Guido Tommasi, 2001.

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