Il fulgore del bronzo

“Vincenzo Pastorelli e la metallurgia antica”

A cura di Federica Garofalo
Immagini fornite da Vincenzo Pastorelli

Ha cominciato realizzando alcune delle armi e armature per i gladiatori dell’associazione Ars Dimicandi nel 2003, e da allora non si è più fermato: oggi, con il suo progetto Hephestus. Ricostruire l’AnticoVincenzo Pastorelli è uno dei fabbri più apprezzati nell’ambiente della rievocazione storica. 

E pensare che, a otto anniancora prima di imparare l’arte della forgiatura, appena poteva correva nella bottega del fabbro del paese, come confessa lui stesso. «Sono di origine abruzzese, pur se sono nato a Melbourne, in Australia,» confida, «ma vivo da così tanto tempo a Bologna che oramai mi sento emiliano a tutti gli effetti.» 

L’incontro che gli ha cambiato la vita è stato quello con l’associazione Ars Dimicandi, della quale è socio fondatore«Inizialmente entrai come sportivo, praticando io già lotta greco-romana. Da lì all’inizio della sperimentazione della metallurgia antica il passo fu breve, cominciando a realizzare ricostruzioni di armi e armature gladiatorie da utilizzare in combattimento.»  

Un particolare che Vincenzo tende a sottolineare è che il suo lavoro non si può definire archeologia sperimentale, ma archeologia ricostruttiva: «Consiste nella ricostruzione e nel ripristino funzionale di un oggetto nelle sue caratteristiche ultime, ma eseguendo tecniche antiche non  necessariamente con strumenti di lavorazione identici a quelli originali: in alcuni casi la lavorazione può essere effettuata con tecniche moderne ottenendo un risultato equivalente. Tengo comunque a dire che lavoro su reperti reali, in sinergia con il mondo accademico, a partire da un’epoca in cui una collaborazione simile non era affatto scontata 

Sinergia molto fruttuosa quella di Vincenzo, se si dà un’occhiata ai suoi progetti principali, in particolare le riproduzioni di reperti per la sezione tattile per ipovedenti al museo di Monterenzio (Bo), inaugurata con il prof. Daniele Vitali dell’Université de Bourgogne nel 2010, quelli esposti  nella sala XI del Museo Archeologico di Bologna per il percorso Ricostruire l’Antico. Le armi dei Celti nel 2014, quelli per l’allestimento didattico al museo di Modena L’originale e la sua replica nel 2015, e quelli per la mostra Etruschi. Maestri artigiani che nel 2019 ha coinvolto i musei di Tarquinia e Cerveteri. «A partire dal 2006 mi sono concentrato su un campo fino ad allora poco indagato, la ricostruzione di armi e  armamenti celtici,» spiega, «e l’accesso diretto al reperto mi permette di notare particolari tecnico-costruttivi che amplificano la fedeltà della replica, e persino, a volte, di collaborare a sfatare alcuni miti sulla metallurgia antica. Ad esempio, la lavorazione del bronzo e del ferro in Antichità era simile in tutte le culture, e i Celti, da questo punto di vista non erano affatto meno evoluti: le loro spade in ferro erano di ottima qualità come pure l’arte decorativa del metallo. Lo storico greco Polibio sosteneva che: “La spada gallica è inferiore a quella romana perché essa può colpire solo di taglio e non anche di stocco e per questa caratteristica è efficace solo il primo colpo….” [”dopo il primo fendente, infatti, essa si piega e si deforma in lungo e in largo ed obbliga  il guerriero a raddrizzarla col piede,  appoggiandone l’estremità a terra…” Un campione importante di spade di questo periodo sono state sottoposte ad analisi fisico-chimiche e a sperimentazione, dimostrando una notevole solidità, resistenza ed elasticità con qualche rara eccezione. Il manufatto originale smentisce dunque la fonte letteraria antica, anche se è vero che ci sono lame di ferro puro sottoposte alla stessa analisi che si sono rivelate di cattiva resistenza meccanica e si deformano con facilità. Resta comunque inteso che un colpo vibrato scorretto poteva sortire l’effetto riportato nei testi antichi. Quella celtica era una metallurgia raffinata, che prevedeva foderi riparabili, scomponibili e decorazioni molto elaborate.»       

Altro mito da sfatare sono gli specchi: «Come prestazioni, gli antichi specchi in metallo, se ben lucidati, non hanno nulla da invidiare a quelli in vetro, anche se il colore del bronzo può falsare il riflesso. Il retro, inoltre, era spesso elegantemente inciso, e l’incisione di specchi è l’attività principale dei miei laboratori per adulti e bambini, dove faccio incidere uno specchio che poi porteranno a casa come gadget 

Senza dubbio, uno dei lavori di cui Vincenzo va più fiero è la riproduzione di un elmo villanoviano in bronzo di IX secolo a.C per la mostra Etruschi. Maestri artigiani. Una replica, tiene a sottolineare, difforme dall’originale di soli 3g. «L’elmo non è così pesante come sembra, – rivela. – Può raggiungere in tutto 1Kg e mezzo di metallo, anche se sicuramente era corredato da un’imbottitura e da una cinghia sottogola per calzarlo saldamente. L’elmo era diviso in due valve, ognuna delle quali aveva subito 30 ricotture: questo perché il bronzo, per essere battuto, ha bisogno di ricottura, e dunque, dopo ogni battitura, va rimesso sulla fiamma. In questo modo, il bronzo diventa sottile e molto duro, e, una volta assemblato, l’elmo è risultato solidissimo.» 

E quest’artigianato così raffinato ci riporta a una delle massime preferite di Vincenzo Pastorelli, che lui applica con i suoi laboratori: “abbiamo ricevuto un’eredità e abbiamo il dovere di trasmetterla.” 

Per saperne di più: Hephestus – Ricostruire l’antico      

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