Sulle orme di Euterpe

I suoni dell’Antichità tra archeomusicologia e rievocazione
Di Federica Garofalo

L’archeomusicologia è una disciplina che negli ultimi anni sta guadagnando sempre più terreno: dopo esser stata per decenni ignorata, sottovalutata, etichettata come disciplina “di nicchia” nelle mani di pochi appassionati, ora sta conquistando perfino la rievocazione storica, in modo particolare quella che si occupa dell’Antichità greco-romana. L’Italia in questo è un po’ indietro rispetto ad altri Paesi europei, soprattutto quelli del Nord Europa, ma anche qui sono sempre di più i gruppi di rievocazione che propongono tra le loro attività la ricostruzione della musica dell’Antichità.

Per capire gli inizi di questo connubio, bisogna andare a Castellammare di Stabia, all’Istituto Internazionale Vesuviano per l’Archeologia e le Scienze Umane gestito dalla Fondazione RAS (Restoring Ancient Stabiae), che ha tra i suoi partner l’Università del Maryland e che dal 2007 accoglie scuole, università italiane e straniere, e singoli studiosi impegnati in attività di ricerca nelle antiche città sepolte dal Vesuvio. L’istituto ospita il Centro del Suono, dipartimento laboratorio di Archeoacustica per gli strumenti musicali e la documentazione, diretto da Walter Maioli, classe 1950, patriarca degli studi di etnomusicologia e archeomusicologia in Italia e fondatore, insieme alla figlia Luce e alla ricercatrice basco-olandese Nathalie van Ravenstein, dei Synaulia, gruppo di musica, danza e teatro dell’Antichità, primo nel suo genere. È lui tra l’altro a darci una definizione molto suggestiva della parola “rievocazione”: «archeologia sperimentale applicata alla didattica e allo spettacolo».

Ricercatore del suono a partire dai primi anni ’70, Walter Maioli è stato tra i primi a rievocare la musica della Preistoria, e negli anni ‘80 ha condotto sperimentazioni di acustica e psicoacustica ad esempio nelle grotte di Toirano; quindi nel 1994 coordinò per un anno e mezzo la parte musicale dedicata alla Preistoria e all’antica Roma nel parco a tema archeologico Archeon, in Olanda. «In Olanda l’organizzazione di questo tipo di realtà è molto più avanti rispetto all’Italia, – puntualizza, – specie se si considera che parliamo del periodo tra gli anni ’80 e gli anni ’90, quando la rievocazione storica era da noi una disciplina poco conosciuta e molto bistrattata; nel Nord Europa, invece, la rievocazione parte da basi già forti di archeologia, la collaborazione tra archeologi e rievocatori è molto stretta».

Proprio da questa esperienza nacque il gruppo Synaulia, la cui ricerca su musica e danza greca, etrusca e romana si è sempre avvalsa della collaborazione di archeologi come Anna Maria Liberati del Museo della Civiltà Romana e Maurizio Pellegrini del Museo Etrusco di Villa Giulia; già nel 1996 uscì il loro primo CD dedicato agli strumenti a fiato, seguito nel 2003 dal secondo dedicato agli strumenti a corda; i loro concerti hanno toccato l’intera Europa adattandosi ai contesti più diversi, da luoghi come l’Ermitage di San Pietroburgo fino al ristorante Allo sbarco di Enea a Ostia. Importanti le loro collaborazioni con teatro, cinema e televisione; Giorgio Albertazzi li volle al suo fianco in varie rappresentazioni teatrali, le loro musiche e le loro performances sono state richieste per film come Il Gladiatore di Ridley Scott (2000) e serie televisive come Roma della HBO (2006).

«Fondamentale nella ricerca e nell’applicazione del nostro lavoro è la scoperta del potere psicoacustico degli antichi suoni, – racconta Maioli. – Nel dicembre 2009, Piero Angela ci intervistò per il programma Superquark, ed egli stesso rimase affascinato dalle nostre ricerche sull’ascolto e sul potere psicoacustico dei suoni antichi, primo tra tutti il suono della ricostruzione del sistro egizio di Pompei. Anche per quanto riguarda la danza mia figlia Luce e la van Ravenstein hanno svolto un accurato lavoro di ricerca, a mio parere unico a livello mondiale, sulle origini delle danze sacre, arcaiche e tradizionali. Con il Centro del Suono alla Fondazione RAS possiamo dire in qualche modo di aver trovato una casa, e insieme di aver creato una realtà originale, che nessun conservatorio o università possiede, compreso il British Museum di Londra o lo statunitense Smithsonian.»

Ma che differenza c’è secondo i Synaulia tra suonare nell’abbigliamento canonico dei musicisti e suonare in abito storico? «Suonare in abito storico è come rendere partecipe il pubblico di un film, l’interattività con gli ascoltatori è molto forte, specie con i bambini. Gli antichi sapevano bene il fatto loro quando sostenevano che la musica potesse influenzare profondamente gli stati d’animo, e noi lo sperimentiamo ogni volta vedendo la reazione del pubblico ai nostri spettacoli, la gente rimane incantata; a volte usiamo anche le maschere, entrando in contatto diretto con gli spettatori, esattamente come gli antichi mimi, e l’empatia è assicurata. Certo, il pubblico nordeuropeo è più preparato di quello italiano, ma la suggestione del suono ha presa su tutti.»

Ora è in corso di allestimento un museo all’interno dell’Istituto Vesuviano, per contenere tutte le riproduzioni di strumenti musicali antichi frutto delle sperimentazioni dei Synaulia; tra essi la riproduzione dell’hydraulis, l’organo ad acqua inventato da Ctesibio di Alessandria e usato perlopiù come bordone, una cetra riprodotta a partire dagli affreschi di Boscoreale e corredata da pioli ripresi da ritrovamenti tedeschi, vari tipi di flauti di Pan compreso uno ricavato dai gambi di cicuta come indicato nelle Bucoliche di Virgilio, e un’intera collezione di sistri riproduzioni di esemplari egizi e romani, e ancora oggi utilizzati nella liturgia copta.

Al 1999 risale invece la creazione del gruppo Ludi Scaenici, le cui fondamenta sono state gettate dai musicisti Cristina Majnero e Roberto Stanco. Stretta è la loro collaborazione con l’Università La Sapienza di Roma e con l’Università di Tarragona (Spagna); proprio a Tarragona, tra l’altro, fin dagli esordi, sono presenza fissa all’evento rievocativo Tarraco Viva dedicato all’antichità romana, che ogni anno riunisce rievocatori da ogni parte d’Europa. Con i loro spettacoli sono arrivati fino al National Museum di Singapore.

Il loro approccio alla musica dell’Antichità si può riassumere nell’espressione “archeomusicologia sperimentale”, un approccio cioè basato in gran parte sulla ricostruzione degli strumenti e sulla sperimentazione del loro funzionamento.

«I nostri strumenti sono riprodotti sulla base di testimonianze scritte, iconografiche e archeologiche, – precisa Cristina Majnero, – comprese quelle tratte da musei come il Louvre, il British Museum e il Museo Archeologico Nazionale di Napoli. Il nostro cornus, ad esempio, (sorta di grande tromba conica a forma di spirale molto utilizzata sia dall’esercito sia per i funerali di importanti personaggi e accompagnata dalla tuba e dall’hydraulis durante i giochi gladiatori nell’arena) è riprodotto a partire da un esemplare proveniente da Pompei, come da Pompei proviene la cosiddetta “Tibia Gorga”, un doppio strumento ad ancia doppia che si trova al Museo degli Strumenti Musicali di Roma, e che abbiamo potuto ricostruire grazie all’aiuto dell’Istituto Superiore per la Conservazione e il Restauro e all’EMAP (European Music Archaeology Project). È uno strumento molto raffinato e complesso, composto da un tubo interno in osso ricoperto da altri due tubi in bronzo, dotato di tutta una serie di fori e anelli rotanti che permettono di cambiare “modo” e far sì che con un solo strumento si possano suonare brani che normalmente richiedevano l’uso di vari strumenti».

Anche nel loro caso la rievocazione ha seguito la sperimentazione musicale, sperimentazione delle possibilità che possono offrire gli antichi strumenti e come vadano suonati: la tibia ad ancia ad esempio, richiede oltre al normale modo di soffiare anche la cosiddetta “tecnica del fiato continuo”, che usa le guance come fossero la sacca di una zampogna. O sperimentazione su ciò che è rimasto, attraverso il Mediterraneo, di quegli strumenti: la zampogna ad esempio era conosciuta, anche se ci rimangono solo descrizioni scritte, e pare perfino che Nerone ne fosse un appassionato; o i crotali, gli antenati delle nacchere, le cui migliori suonatrici gli autori antichi dicono venissero proprio dal sud della Spagna, allora come oggi.

Sperimentazione sugli strumenti, dunque, ma anche a partire dai testi antichi:

«Ci sono pervenuti circa 63 frammenti musicali di epoca greco-romana scritti con notazione alfabetica – spiega Cristina – alcuni dei quali scolpiti nella pietra, come il I e II Inno ad Apollo incisi su una parete del tempio di Delfi e risalenti al II secolo a.C., o come il cosiddetto “Epitaffio di Sikilos”, inciso su una stele funeraria e datato tra il II secolo a.C. ed il I d.C.».

Significativo è il fatto che gli “spettacoli con basi scientifiche” dei Ludi Scaenici, come essi stessi amano chiamarli, siano molto più apprezzati all’estero che in Italia:

«In Italia solo ora sta cominciando a muoversi qualcosa, ancora oggi la diffidenza per la rievocazione è molta; a parziale giustificazione di questo bisogna dire che la mentalità di molte rievocazioni in Italia è quella della fiera di paese. Qui la gente, a differenza che in altri Paesi europei, non è ancora abituata ad un certo modo di fare rievocazione, come ad un certo modo di fare musica. Si è perso il contatto con la musica acustica, quella fatta senza microfoni e senza amplificazione; diciamo però, che quando proponiamo questo tipo di spettacoli, la gente rimane affascinata, anche perché più i suoni sono antichi più stanno bene anche ad un orecchio moderno, ansioso di riascoltare suoni in qualche modo ancestrali che ci riportano alle nostre origini».

Da poco è stato pubblicato il loro terzo CD “Meum Mel”, che va ad aggiungersi ai precedenti “E tempore emergo” e “Festina Lente”. Inoltre i componenti del gruppo fanno parte del già citato progetto EMAP, finanziato dall’Unione Europea, come esperti di strumenti a fiato. Questo progetto sta portando in giro per l’Europa la mostra Archaeomusica (che va dalla preistoria al medioevo) sempre accompagnata da numerosi concerti sia dei Ludi Scaenici sia di altri gruppi internazionali che vi partecipano. Inaugurata a Tarquinia l’8 aprile scorso, è approdata in Irlanda, Svezia, Cipro, Scozia, Spagna, Slovenia, e il prossimo ottobre arriverà a Roma, prima di concludersi in Germania.

Sul progetto EMAP vale la pena di fermarsi un momento, essendo questo un progetto di archeologia sperimentale applicata alla musica di respiro europeo, ma partito dall’Italia, come spiega Emiliano Li Castro, più di trent’anni alle spalle in Radio RAI e direttore artistico del progetto.

«In realtà il progetto EMAP nasce da una comunità di archeomusicologi attiva già da prima degli anni ’90 in seno all’International Council for Traditional Music, l’International Study Group on Music Archaeology (ISGMA), nato nel 1998 e “adottato” ufficialmente dall’Istituto Archeologico Germanico (DAI), che dal 2000 pubblica gli atti dei convegni organizzati dai membri del gruppo. Nel 2006, nel corso della tavola rotonda che seguì il convegno annuale dell’Istituto, ospitato quell’anno all’interno del Museo Etnografico di Berlino, fu lanciata per la prima volta l’idea di divulgare al grande pubblico le radici culturali europee attraverso la musica, dal Paleolitico, passando per l’Età del Bronzo, fino a Celti e Romani. La gestazione è stata comunque abbastanza lunga: il progetto EMAP è stato concepito nel 2009, in occasione del convegno “La musica in Etruria”, organizzato a Tarquinia dall’Assessorato alla Cultura, ma solo nel 2013 si è potuto costituire ufficialmente, con l’aiuto dei fondi europei che avevamo potuto ottenere vincendo il bando indetto dall’Education, Audiovisual and Cultural Executive Agency (EACEA) della UE, unici Italiani e primi in classifica. In EMAP sono coinvolte dieci istituzioni di sette diverse nazioni, coordinate dal Comune di Tarquinia.»

Un viaggio nelle radici musicali del Vecchio Continente, insomma, che vuole unire ricerca e sperimentazione, e soprattutto divulgazione, attraverso mostre interattive, concerti e pubblicazioni, comprese quelle di CD e DVD. Bisogna dire che nelle università italiane, a differenza che in altri Paesi europei, l’archeomusicologia non ha ancora avuto grande fortuna: in Italia, l’unico corso di laurea in materia è stato istituito nel 2009, all’Università di Trento, e ha avuto vita breve. Anche se, negli ultimi anni, la crisi economica e i tagli alla cultura hanno costretto le università italiane a “scendere dal piedistallo” e a trovare nuove forme di finanziamenti con progetti e collaborazioni, la strada è ancora lunga.

«In sé, l’archeomusicologia, essendo un insieme di archeologia e arte, inserisce la musica a pieno titolo nella storia dell’arte antica, allo stesso livello della scultura o dell’architettura, – spiega Emiliano Li Castro. – Il problema è che i pregiudizi sulla ricostruzione della musica dell’Antichità sono ancora troppi. Si sente spesso dire che non sia possibile avere un’idea precisa della musica in quel passato così lontano, che le fonti non siano sufficienti, che non esistano partiture musicali, e non è vero: la musica veniva scritta fin dal tempo dei Sumeri, abbiamo tavolette d’argilla con nozioni musicali che utilizzano termini di epoca accadica e persino alcuni esempi di notazione musicale, come l’inno hurrita rinvenuto ad Ugarit e datato al 1400 a.C. Se ci rimane così poco della musica scritta nell’Antichità, soprattutto se pensiamo alla musica dei Greci e dei Romani, è perché le partiture erano spesso annotate su supporti deperibili, come i papiri, e dunque sono andate perdute, come tanti altri scritti; comunque, a testimonianza della musica greca, disponiamo di numerosi frammenti e di qualche “spartito” più o meno completo. Ma la musica è fatta anche di strumenti, che possono essere ricostruiti quando la documentazione disponibile è sufficiente e, grazie ai reperti rinvenuti, alla ricerca iconografica, ai numerosi testi antichi di argomento musicale, alle analisi sui materiali e alle straordinarie capacità di alcuni artigiani e liutai, questo è già stato possibile in molti casi.»

In questo discorso, la rievocazione ha un ruolo tutt’altro che marginale, sia per la ricerca, sia per la divulgazione: «Noi cerchiamo di inserire il suono in un contesto il più possibile vicino alla realtà, nei luoghi e nei modi antichi, e rispettando l’antico paesaggio sonoro: ad esempio, abbiamo effettuato delle registrazioni alle Tombe dei Re a Pafo (Cipro), necropoli monumentale risalente al IV-III secolo a.C., e l’acustica è tutt’altra da quella di uno studio di registrazione. I concerti dell’EMAP sono quasi tutti in abiti moderni, ma il nostro approccio è proprio quello da cui partono anche i rievocatori, quello di avvicinarsi il più possibile al contesto. Purtroppo, e questo non solo in Italia, il mondo accademico spesso snobba i rievocatori perché li considera poco seri; c’è anche da dire che il problema della rievocazione musicale italiana è che spesso non c’è una conoscenza sufficientemente approfondita e a 360°; i singoli gruppi lavorano in isolamento, senza coordinarsi con altre esperienze; invece il nostro intento è proprio quello di mettere insieme studiosi, artigiani e artisti, allo stesso livello. Si spera che questo lavoro possa continuare fino a coinvolgere anche attori e danzatori, un po’ come accade a Tarragona per l’evento Tarraco viva, dove si rappresentano financo i culti misterici, nei luoghi deputati, in Latino, illustrati con correttezza scientifica, ma evitando che gli artisti rompano l’illusione scenica interagendo direttamente con il pubblico. Mi piacerebbe ad esempio che le antiche tragedie e commedie greche e romane fossero rappresentate in lingua originale e con la relativa metrica (magari con traduzione su libretto, come si fa per l’opera lirica), da attori con le maschere e i costumi del tempo, con musiche ricreate in modo appropriato e l’acustica giusta.»

Tutte queste esperienze dimostrano insomma che, al contrario di quanto molti ancora pensano, è possibile rievocare le antiche sonorità, anche con una certa attendibilità; si tratta, però di un sentiero di ricerca relativamente inesplorato, e in gran parte da scoprire.

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