Cooking demo nell’antica Roma: il progetto Archeo Cucina

La storia tra le pentole – capitolo 2

di Federica Garofalo

Quella per la cucina sembra esser diventata la mania del terzo millennio: senza contare libri e riviste più o meno “specialistiche” che spuntano dappertutto, non c’è palinsesto televisivo che non dedichi almeno un programma a cuochi e ricette. Per non parlare della tendenza, ormai universalmente diffusa nei campi più diversi, del cosiddetto “show cooking”, o meglio, come dicono nei Paesi anglofoni, “cooking demo”: ossia la preparazione di piatti dal vivo da parte del cuoco di fronte al pubblico, che trasforma la cucina in un’esibizione vera e propria e il cuoco in una star. Una tendenza che contagia anche il mondo della rievocazione storica e dei giochi storici: sembra scontato che una manifestazione a carattere storico, per avere successo, debba contenere una cena a tema o almeno un settore dedicato alla gastronomia. Eppure, a volte, si ha l’impressione che iniziative del genere non siano altro che un modo “pittoresco” per offrire da mangiare al pubblico, e che il visitatore vada via senza essere entrato in contatto sul serio con il palato dei nostri antenati.

Nella direzione opposta si muove il progetto Archeo Cucina, che poggia sulle larghe spalle del rodigino Paolo Bergamini, cuoco con una lunga gavetta alle spalle, ai fornelli dall’età di diciassette anni, e dal 2001 membro di spicco della Legio I Italica di Villadose con il nome d’arte di Taurus «Questo progetto è nato da sei anni di lavoro», spiega Paolo. «Ho cominciato con la didattica sull’alimentazione romana all’interno della Legio, poi ho cominciato a farmi domande, a leggere libri e soprattutto le fonti. In particolare mi perplimevano certe affermazioni dei traduttori, così ho cominciato a studiare e a sperimentare affermazioni e ingredienti. Ora posso dire che da quanto all’inizio era soltanto un hobby è nato qualcosa di più complesso: attualmente non faccio solo didattica, ma anche “cooking demo”, degustazioni e collaborazioni con i musei, in particolare con il Museo dei Grandi Fiumi di Rovigo e con il Museo Archeologico di Reggio Emilia».

Guai però a chiamarlo “archeocuoco”! «Oramai chiunque s’interessi di cucina del passato si autoproclama “archeocuoco”. Io preferisco studioso dell’alimentazione e della cucina antica».

Sì, perché ci vuole tanto lavoro e tanta ricerca per ottenere una ricetta più fedele possibile a quelle descritte nei testi di Apicio e Columella; le ricette in sé sono semplici, il vero problema sono i metodi di preparazione e di cottura, che prevedono utensili diversi da quelli a cui siamo abituati; e poi c’è il discorso della reperibilità di certi ingredienti, come il garum, l’onnipresente salsa di pesce macerato presente in moltissime ricette. «Le norme igienico-sanitarie in vigore non mi permettono di fare una vera e propria operazione di archeologia sperimentale in cucina», chiarisce Paolo. «Il garum che produco io, ad esempio, non posso usarlo per le degustazioni, dato che non possiedo l’analisi della carica batterica richiesta dal ministero; così lo sostituisco con una salsa di pesce thailandese che mi faccio portare dalla Germania. In più, non posso utilizzare pentole di bronzo romane su treppiedi, sono materiali proibiti dalla legge».

Un problema in più è come sostituire ingredienti che ora non esistono più, come il silfio, pianta estinta già in antichità; e non sempre gli studiosi sono tutti d’accordo. «Un indizio lo troviamo già nei testi antichi,» rivela Paolo: «dato che già allora il silfio era una “specie in via di estinzione”, si raccomandava di sostituirlo con l’assafetida. E questa esiste ancora oggi, io la faccio venire direttamente dall’Iran. Molto spesso chi scrive libri sulla cucina romana e si sente in dovere di proporre alternative ad ingredienti scomparsi o difficilmente reperibili, consiglia di sostituire l’assafetida con l’aglio. Questo secondo le mie sperimentazioni è assolutamente errato, perché pur avendo un lievissimo retrogusto di aglio questa resina da un aroma assolutamente unico alla pietanza, talmente unico che solo chi lo ha già assaggiato riesce ad identificare questo ingrediente  e non è assolutamente invadente come il sapore dell’ aglio».

E questo non è l’unico luogo comune sulla cucina romana che il progetto Archeo Cucina s’incarica di sfatare. «Quando si chiede alla gente comune cosa sia il garum, la maggior parte risponde che è fatto di pesce marcio,» racconta Paolo; «quando poi faccio assaggiare una pietanza e poi dico che lì dentro c’è il garum, rimangono tutti a bocca aperta; così va a finire che, su 100 persone, 95 rivalutano il garum. Molti “archeocuochi” tendono a ipersemplificare, con la scusa di adattare la ricetta al gusto moderno; e invece molte ricette, se eseguite bene, danno un risultato eccellente, e molto apprezzato dalla gente ed il problema non è tanto il gusto quanto il lavoro di ricerca e di preparazione ed il costo degli ingredienti. Non a caso molte specialità regionali italiane, come le salsicce lucaniche, hanno radici romane».

Il vero problema, a quanto pare, non è legato al palato, ma alla disponibilità della gente di fermarsi a riflettere, cosa che non tutti sono disposti a fare. «Nel corso di un evento rievocativo di più giorni ad Aquileia, il primo giorno, la presentazione al museo era affollata di persone curiose e interessate che facevano domande; nei giorni successivi, nello spazio rievocativo, le cose sono cambiate radicalmente, il deserto totale».

Ci si potrebbe chiedere perché il cuoco Paolo Bergamini continui ad insistere con la formula della divulgazione rievocativa invece di pubblicare un libro in merito o aprire un ristorante in tema. «Aprire un ristorante romano richiederebbe molta affluenza per reggere la concorrenza, e di conseguenza una location nella quale sia assicurato un bacino di afflusso turistico molto ampio, come Pompei,» spiega. «Un libro sarebbe invece sostanzialmente un “copia-e-incolla” da altri libri».

Ora, Paolo Bergamini si prepara ad affrontare un’altra sfida: la cucina medievale, per alcuni aspetti a suo dire addirittura più complessa di quella romana.

Attendiamo con curiosità!

 

RicettaMaiale in salsa di vino (In porcello lactante: Apicio, VIII, 7, 17)

Ingredienti:
1 carrè di maiale
1 bicchiere di olio di oliva
5 acciughe sott’olio
1 porro
1/4 di litro di vino rosso corposo
1 bicchiere di Vino passito
Semi di cumino QB
Semi di coriandolo QB
Assa fetida QB
Levistico QB
Mosto cotto QB
Garum QB
Del brodo QB

Scaldare in una casseruola l’olio di oliva, fate sciogliere all’interno le acciughe, aggiungete il porro tritato finemente e fatelo passire, aggiungete il maiale e fatelo rosolare, aggiungete quindi il vino rosso e fatelo sfumare, mettete il garum ed aggiungete del brodo quindi coprite il tegame con un coperchio.
Nel frattempo tritate finemente il cumino, il coriandolo, l’assa fetida ed il levistico che dovrete aggiungere all’arrosto a 3 quarti di cottura. Aggiungete il mosto cotto quasi a fine cottura. (Attenzione al liquido di  cottura se cala troppo aggiungete brodo).
Il risultato dovrà essere una carne morbida con un sapore speziato ed un retrogusto dolciastro

 

 

 

 

 

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