Una giostra nella Napoli Aragonese

Intervista a cura di Federica Garofalo
Fotografie di Paolo di Nunno

 

 «Un sogno che si è avverato.»

Così Roberto Martusciello Cinquegrana, residente a Prato ma Napoletano i.g.p., presidente della “Scuola di Cavalleria Medievale” (come egli stesso ama definirla) Compagnia dell’Aquila Bianca, saluta il titolo comparso su Il Mattino: “A maggio giostra medievale: al Plebiscito tornano i cavalli”. La “Gran Giostra dei Sedili di Napoli”, che il 23 e il 24 maggio prossimi animerà Piazza del Plebiscito (l’antico Largo di Palazzo) in occasione del Maggio dei Monumenti, è stata presentata il 27 dicembre scorso al Maschio Angioino.

 

Si tratterà di una giostra vera e propria che riporterà Napoli all’epoca di Ferrante d’Aragona (1458-1494), in cui si affronteranno sette cavalieri, in rappresentanza dei sette Sedili che componevano il Consiglio della Città di Napoli: Porta Capuana, Montagna, Forcella, Nido, Porto, Portanova e Popolo. Una gara sportiva a tutti gli effetti, insomma, ma che, assicura il Cinquegrana, sacrificherà il meno possibile alla fedeltà storica; anche se, confessa, trattandosi di una prima volta, «è necessario scendere a qualche piccolo compromesso». La giostra sarà al tempo stesso, però, anche il fulcro di un evento molto più ampio che occuperà entrambi i giorni, e che comprenderà il corteo di apertura, spettacoli di vario tipo, una messa in armi, e il Gran Ballo della Nobiltà Napoletana.

 

«È da quando ho fondato la Compagnia dell’Aquila Bianca nel 2007 che sognavo di fare qualcosa del genere a Napoli,» dichiara con orgoglio Roberto Cinquegrana. «L’associazione era nata a Napoli per promuovere la Scherma e l’Equitazione Medievale e Rinascimentale, insomma le arti marziali di casa nostra, ma abbiamo dovuto spostarci in Toscana perché lì rischiava di sciogliersi. Dal 2008, dalle nostre sedi di Firenze e Prato, ci muoviamo da una parte all’altra dell’Italia e dell’Europa, non solo partecipando a giostre e tornei al livello agonistico, ma anche collaborando con università e centri di ricerca, con l’obiettivo di non fare soltanto sport, ma anche cultura ed… educazione. Perché la nostra associazione non è solo rievocazione o Living History, ma, come Compagnia, cerchiamo di educare attraverso la pratica marziale, cioè di formare ogni nostro socio ad una disciplina militare intrisa di valori cavallereschi. Questo è particolarmente vero per i giovani, e oggi più che mai mi sembra importante insegnare loro che un buon Cavaliere è colui il quale riesce a vincere anche senza combattere materialmente; perché sono loro che, in futuro custodiranno questi valori, li promuoveranno e li proteggeranno. Proponiamo in pratica un’educazione spirituale e non solo marziale come quando c’era la leva obbligatoria: una preparazione alla guerra affinché quella stessa guerra non venga però mai realizzata.»

 

Un livello molto particolare della Compagnia dell’Aquila Bianca è quello della Confraternita del Nodo e dello Spirito Santo, in pratica la “rinascita” dell’omonimo ordine cavalleresco fondato dalla regina di Napoli Giovanna I d’Angiò e da suo marito Luigi di Taranto nel 1352. La cosa, però, e Roberto Cinquegrana ci tiene molto a precisarlo, non ha nulla a che fare con i vari pseudo-ordini templari o neotemplari che ogni tanto spuntano qua e là: «La nostra è una vera e propria confraternita a norma di diritto canonico, riconosciuta dal vescovo, e che verrà ufficialmente consacrata proprio durante l’evento, il 24 maggio, festa di Pentecoste, come da tradizione, nella Chiesa di San Francesco a Piazza del Plebiscito

 

Tornando all’aspetto sportivo, c’è da dire che la Compagnia dell’Aquila bianca è stata la prima compagnia italiana ad adottare la disciplina del jousting, come viene chiamata al livello internazionale, cioè la giostra in armatura ad impatto pieno; disciplina che, a detta di Roberto Cinquegrana, ha avuto in Napoli una delle sue culle.

 

«Napoli, dal dominio dei d’Angiò fin quasi all’Unità d’Italia, è stata considerata in pratica la patria delle discipline equestri, e il più importante serbatoio di cavalli in Europa,» insiste. «I Corsieri Napoletani erano una razza tanto pregiata da esser divenuta la cavalcatura dei sovrani di mezza Europa. Tutto questo aveva tanta importanza per il Regno di Napoli, che una moneta di Ferrante I d’Aragona reca, ben visibile sul recto, un cavallo.»

 

La storia ci dice che lo stesso “Don Ferrante”, come veniva comunemente chiamato, era un grande appassionato di arti marziali e di combattimento a cavallo; ma Napoli, dall’età Angioina in poi, fu sede di una importantissima scuola di equitazione che praticamente inventò quelle che vengono chiamate “regole di equitazione d’alta scuola”. Basta citare il nome di Federico Grisone, che nel 1550 pubblicò un trattato, Gli ordini di cavalcare, che in appena un secolo ebbero una ventina di edizioni in tutte le lingue; prima ancora di lui, Giovanni Battista Pignatelli, tra Quattrocento e Cinquecento, inventore di particolari metodi di addestramento dei cavalli che avrebbero fatto scuola per secoli, aveva avuto allievi di Salomon de La Broue e Antoine de Pluvinel, quelli che poi sarebbero stati i pionieri della scuola di equitazione francese; lo stesso Renato d’Angiò, ultimo re angioino di Napoli aveva scritto un trattato, Le livre des tournois, che a tutt’oggi è il più antico trattato che si conosca sull’arte del giostrare.

 

Non sono questi, però, i soli primati che il Cinquegrana rivendica per Napoli:

«Sono fermamente convinto che il Rinascimento sia nato a Napoli, almeno 30-40 anni prima che a Firenze o a Roma» dichiara. «Già al tempo dei d’Angiò Napoli era una grande realtà culturale, un Petrarca e un Boccaccio trovarono un grande mecenate nel re Roberto il Saggio; per Napoli sono passati artisti del calibro di Cavallini, Tino di Camaino, Giotto e i suoi allievi, Simone Martini. A partire da Alfonso d’Aragona, poi, troviamo ambienti come l’Accademia Pontaniana, che contava fior di intellettuali, per non parlare della musica: le “Villanelle alla Napolitana” erano cantate nelle corti di tutta Europa. E, ad un certo punto, tutto questo è svanito nel nulla, risucchiato dalla volontà politica del Vicereame spagnolo, e seppellito dalla damnatio memoriae

 

La Gran Giostra dei Sedili del prossimo maggio dovrebbe essere dunque un imprinting, sia perché a Napoli si costituisca nuovamente una scuola di alta equitazione che le restituisca il primato perduto, sia per accendere i riflettori su una realtà così poco conosciuta in Campania come la Living History, la “Storia viva”, un nuovo modo di avvicinare la gente comune alla storia facendola vedere, toccare, respirare.

 

«Purtroppo in Campania c’è ancora pochissimo da questo punto di vista,» lamenta Roberto Cinquegrana. «E questo perché c’è una sostanziale mancanza di comunicazione, che qui è essenziale: il Napoletano medio ha bisogno di essere trascinato, quasi preso per le orecchie. Molti Napoletani non conoscono nemmeno la storia della propria città. Ad esempio, in una nicchia sulla facciata del Palazzo del Pretorio di Prato, la città in cui vivo, c’era una statua oggi scomparsa di Roberto d’Angiò, perché i sovrani angioini erano vicari per il governo della Toscana per conto dell’Imperatore di Germania, e i notabili pratesi rendevano omaggio a re Roberto inchinandosi davanti alla sua statua. E quanti Napoletani lo sanno?»

 

“Articolo già pubblicato sulla testata on line Saperi in Campania www.saperincampania.it

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