Storia del ponte del diavolo: “Lucifer XIV”

A cura di Federica Garofalo
Immagine fornite da Alberto Mattea

La leggenda e simile a quella di molti altri ponti medievali sparsi per l’Italia: c’è un ponte, una comunità che ne ha bisogno e un diavolo che, evocato, lo costruisce, spesso in una sola notte. Da questo spunto, l’associazione culturale La traccia nel tempo è partita per raccontare la storia del “Ponte del Diavolo” di Lanzo Torinese, costruito nel 1378 non lontano dal capoluogo piemontese, classificato addirittura tra i trenta ponti più belli d’Italia. Nasce così il lungometraggio Lucifer XIV, tuttora in lavorazione, la cui regia è stata affidata ad Alberto Mattea, già autore di Imago Christi, uscito nel 2018.

Alberto Mattea tiene a sottolineare di non essere un regista nel senso pieno del termine: «Ho maturato l’esperienza per dirigere questa pellicola grazie all’intenso lavoro sul campo svolto per Imago Christi e su dei cortometraggi. Inoltre, essendo musicista di formazione e diplomato al Conservatorio, ho da sempre un forte legame con il cinema attraverso la musica da film. L’idea per questa pellicola è nata in parallelo con quella precedente, lavorando in parallelo con l’associazione no profit La traccia nel tempo, nella quale confluiscono diverse competenze, sotto il coordinamento del presidente e attore Michele Miele. Siamo partiti dall’opera teatrale di uno scrittore lanzese, Giuseppe Cabodi, e al tempo stesso da tutto quello che i documenti ci dicono sulla costruzione del ponte, per creare un prodotto di qualità e al tempo stesso storicamente solido.»

Sì, perché la leggenda del diavolo ha ben poco a che fare con la costruzione del ponte di Lanzo Torinese, della quale si sa davvero vita, morte e miracoli:
«Conosciamo perfino la somma che fu versata per la sua costruzione, 1400 fiorini,» racconta Alberto, «e le accese discussioni che comportò nel Consiglio della castellania di Lanzo. In effetti sullo sfondo c’è la rivalità tra la famiglia dei Savoia e quella degli Acaia, e gli Acaia controllavano tutte le vie di comunicazione della zona, rendendo necessaria un’alternativa.»

In un quadro così razionalmente storico, dove ci può essere posto per la leggenda di un demonio architetto?
«La presenza diabolica c’è,» assicura il regista, «anche se è molto più sottile della leggenda vera e propria, e si concentra sulle storie private di alcuni personaggi, su uno in particolare, l’architetto Giovanni Porcherio, e su un suo misterioso consigliere che poi si scoprirà esser più di un uomo. Noi presentiamo Lucifero come presenza costante nella storia, in attesa di qualcuno da tentare.»

A questo proposito, il titolo del film potrebbe suggerire un accostamento con la quasi omonima serie di Netflix Lucifer. Su questo, Alberto Mattea è netto: «Nulla potrebbe essere più lontano dallo spirito del nostro film: noi ci atteniamo alla storia, e per questo abbiamo preferito un titolo in Latino.»

Quel che il regista tiene a sottolineare è che essere storicamente accurati al 100%, in una produzione piccola come questa, è praticamente impossibile: «Abbiamo avuto qualche donazione da parte di privati, abbiamo attivato una campagna di raccolta fondi via internet, finora con scarsi risultati, e tutti, attori e tecnici, offrono il loro contributo a titolo gratuito, compreso il sottoscritto che ha composto anche la colonna sonora; per giunta gli attori non sono professionisti, vengono quasi tutti dal teatro amatoriale, tranne poche eccezioni; i materiali di scena sono per la maggior parte di nostra fabbricazione. Con tutto questo, però, abbiamo cercato di fare un lavoro il più scrupoloso possibile: anche se non c’è una commissione vera e propria ad hoc, nel direttivo dell’associazione ci sono persone che hanno fatto parte di gruppi di rievocazione storica, e che dunque sapevano come muoversi riguardo alle fonti; su loro indicazione, il nostro reparto di sartoria ha realizzato più di cento capi storicamente compatibili con la seconda metà del Trecento.»

Anche il coinvolgimento di gruppi di rievocazione storica è stato molto limitato: «È proprio il tipo di lavoro cinematografico che rende quasi impraticabile il lavoro con i gruppi storici: noi ci ritroviamo a girare in sostanza tutti i fine settimana, e con questi ritmi, se avessimo coinvolto in modo forte anche i gruppi storici, non avrebbero potuto svolgere regolarmente le loro attività. Tuttavia, in futuro, per riprese singole, contiamo di coinvolgere dei rievocatori, soprattutto per scene di massa.»

Lo scopo è soprattutto mostrare ai “non addetti ai lavori” un Medioevo diverso da come di solito viene dipinto al cinema: «Un Medioevo colorato, luminoso, in cui anche la gente cosiddetta “comune” può vivere in relativa serenità. Spero che gli esperti, almeno apprezzino lo sforzo, e che il pubblico in generale possa andarsene con una domanda: a cosa si è disposti pur di ottenere anche la cosa più nobile?»

La domanda che noi ci facciamo, però, è un’altra: quando potremo vedere il film?
«La fine delle riprese è prevista entro l’estate del 2020, e dopo lo presenteremo a concorsi e festival.»

Chissà se verranno presi in considerazione anche altri metodi di distribuzione come il DVD…

Condividi questo articolo