Rivive il primo archeopark della Storia

a cura di Federica Garofalo
fotografie di Beppe Lachello, Enrico Hartà e Anna Caretto.

…al Borgo Medievale di Torino la fiera di Fine Estate

I recenti servizi televisivi dedicati all’Archeodromo di Poggibonsi hanno portato alla ribalta anche qui in Italia il problema della divulgazione attraverso gli archeopark ricostruiti. Sembra che nel nostro Paese questa sia una formula che stenti ad affermarsi, al contrario di altre nazioni che ne hanno fatto non solo mezzi di divulgazione ma anche risorse sia dal punto di vista dell’artigianato sia del turismo: basti pensare al Middelaltercentret sulle rive dello stretto di Guldborgsund, in Danimarca, la ricostruzione di un villaggio di XIV secolo con tanto di laboratori artigianali e botteghe funzionanti; o al caso più macroscopico, il castello di Guédelon, ancora in costruzione nelle campagne della Borgogna francese, con materiali e tecniche di XII e XIII secolo.
Eppure, in questo campo, l’Italia ha un primato quasi sconosciuto: quello di avere il più antico archeopark esistente al mondo. Stiamo parlando del Borgo Medievale di Torino, tirato su in due anni, e inaugurato in occasione dell’Esposizione Generale Italiana del 1884; e che, il 20 settembre scorso, è stato protagonista della Fiera di Fine Estate, organizzata dalla Fondazione Borgo Medievale in collaborazione con l’Associazione Culturale Speculum Historiae.

 
L’intento degli ideatori del borgo, primo fra tutti l’erudito portoghese Alfredo d’Andrade, era quello di trasportare letteralmente il visitatore in un ambiente che potesse dare l’idea di un piccolo centro abitato piemontese del XV secolo, riproducendo tutte le caratteristiche dell’epoca, dai mattoni e le balconate di legno delle abitazioni, passando per gli affreschi, fino ai mobili e alle stoffe che arredano le sale della Rocca. Una piccola “enciclopedia materiale” del Piemonte quattrocentesco, insomma, come traspare molto bene dal nome del progetto: «Saggio intorno alla vita civile e militare del Piemonte nel secolo XV, mediante una raccolta di fabbriche arredate, disposte a modo di Castello (cioè di Borgo colla dominante Rocca) ove siano riprodotti i principali aspetti che tali fabbriche dovevano allora presentare.» Titolo forse un po’ prolisso, come nello stile dei tempi, ma lo scopo divulgativo che il complesso si proponeva, pur con tutti i limiti dell’epoca, balza fuori con prepotenza e lo pone su tutto un altro piano rispetto ai castelli in stile neogotico così diffusi nell’Ottocento. Sia il Borgo sia la Rocca rappresentano un collage di esempi architettonici e artistici che i membri della commissione andarono a studiare, disegnare e fotografare tra Piemonte e Valle d’Aosta; edifici che in alcuni casi sono stati distrutti dal “piccone demolitore” della nascente società industriale e dei quali ora, senza queste “copie”, avremmo perso perfino il ricordo. L’obiettivo di creare una coscienza nei Piemontesi del loro patrimonio storico-artistico è un argomento che ritorna insistentemente nelle quasi 170 pagine del catalogo stampato nel 1884, in cui si trovano affermazioni di sorprendente modernità, come questa del d’Andrade: «Finché le scuole d’architettura continueranno a curare pressoché esclusivamente la parte tecnica, riducendo l’artistica a poche nozioni accademiche, mandate a memoria senza che intervenga come elemento educativo la vista reale dei buoni esemplari, e questi saranno studiati sulle tavole non sulle fabbriche, i monumenti architettonici del nostro Paese passeranno in gran parte ignorati ed inosservati, e correranno gran rischio di cadere quandochè sia sotto il piccone demolitore»; gli fa eco Giuseppe Giacosa (conosciuto dal grande pubblico come uno dei librettisti preferiti di Puccini), curatore del catalogo: «Non è altresì del nostro ufficio di salvare dalla dimenticanza quei monumenti che rischiavano di scomparire dalla faccia del mondo?»

E proprio la divulgazione, a 131 anni di distanza dall’inaugurazione del Borgo, è stata il motore propulsore della Fiera di Fine Estate, un vero e proprio sodalizio tra Beni Culturali e Living History, come ci racconta Mariella Calfus, responsabile per il Borgo Medievale della Fondazione Torino Musei:
– Da sempre, il Borgo è quasi tappa obbligata nelle gite delle scuole elementari di Torino, ed è abbastanza frequentato, soprattutto nei fine settimana. Il problema è che, proprio in quanto “non autentico”, cioè “non medievale”, è considerato dai Torinesi quasi un museo di serie b, e molte volte i non Torinesi non sanno nemmeno della sua esistenza. Etichettarlo come falso è ingiusto. La risposta è mettere a nudo la sua natura di mezzo divulgativo, e noi come tale cerchiamo di valorizzarlo fin dal 2003. La Fiera di Fine Estate è stata per il Borgo il primo evento rievocativo a Rocca aperta, con biglietto all’entrata di 10 euro. La principale difficoltà nell’organizzarla è stato come sempre il budget, soprattutto la difficoltà nel trovare sponsor: è stato praticamente un terno al lotto. A quanto pare, però, abbiamo fatto tombola: le presenze in tutta la giornata sono state circa 1800, fin dal mattino c’era la coda per entrare.

Scorrendo il catalogo del 1884, d’altra parte, possiamo vedere come, durante l’ “Expo” di quell’anno, il Borgo fosse organizzato come un vero e proprio archeopark ante litteram, con tanto di figuranti in costume, i cui abiti furono disegnati da uno dei pittori più apprezzati del momento, Alberto Maso Gilli. Si possono perfino leggere aneddoti gustosi come quello relativo all’osteria, esistente ancora oggi, in cui gli ideatori del Borgo avevano previsto di far sperimentare ai visitatori autentici piatti del Quattrocento, serviti in stoviglie che imitassero quelle dell’epoca. «E non è a dire che ne avrebbe patito la moderna ghiottoneria, perché la Commissione, per scrupolo di coscienza, si fece altresì assaggiatrice di vivande arcaiche e non se n’ebbe a pentire».
Da allora, però, questo aspetto è migliorato di parecchio, come hanno potuto vedere i visitatori della Fiera di Fine Estate, grazie all’Associazione Culturale Speculum Historiae, che ha coordinato la parte rievocativa, e che ha invitato gruppi di Ricostruzione storica provenienti non solo dal Piemonte, ma da tutto il Nord Italia, come la Compagnia della Rosa di Mantova, la Civitas Alidosiana di Imola, l’Ordine delle Lame Scaligere di Verona e l’Associazione Culturale Compagnia de Tergeste di Trieste. Il visitatore ha potuto letteralmente immergersi in un ambiente di inizio Quattrocento, ogni angolo del quale era un quadretto ricostruito con tutto il rigore storico possibile. Particolarmente gradite le visite guidate all’interno della Rocca, dove gli Speculum Historiae avevano ricreato la corte di Bonifacio de Challant, Signore di Fénis, uno dei castelli presi a modello per la sua costruzione, dove sulla spiegazione delle guide s’innestavano perfettamente gli approfondimenti, verbali o “materiali” dei rievocatori. Molto apprezzati anche i momenti che hanno scandito la giornata, il matrimonio al mattino e il torneo pomeridiano, e i mini-concerti nella sala baronale eseguiti da Igor Ferro e dal duo Medieval Music; per non parlare dei momenti estemporanei improvvisati all’impronta, come le danze delle dame o la scenetta del banchetto nella grande sala da pranzo.

Raggiungiamo colui che si è assunto l’onore e l’onere di coordinare tutto questo, Bonifacio de Challant in persona, al secolo Lorenzo Marchese, presidente dell’Associazione Culturale Speculum Historiae.
La collaborazione con il Borgo Medievale è iniziata prima ancora che nascesse l’associazione, – rivela. – Speculum Historiae è nata nel 2009 dalla confluenza di vari gruppi di rievocazione del Torinese, soprattutto la Compagnia di Sant’Uberto. Già da allora, insieme alla Fondazione Torino Musei, organizzavamo le “Domeniche al Borgo”, la prima domenica di ogni mese, da marzo a novembre: una serie di quadretti, ogni volta incentrati su un singolo tema, prima nel Borgo, poi nella Rocca. Ci sembrava il modo migliore per valorizzare a fini didattici questo complesso, che altrimenti perderebbe la sua connotazione di museo. La Fiera di Fine Estate è stato il primo evento “in grande” ambientato al Borgo: qualcosa che avevamo in mente da sempre, ma che siamo riusciti a concretizzare solo lo scorso gennaio. Il bilancio è stato superiore alle aspettative, un afflusso così grande di visitatori non si era mai visto qui in una sola giornata: questo dimostra che il Borgo, se sfruttato in maniera valida, piace.

Il Borgo piace, e uno dei suoi assi nella manica sono da sempre le botteghe che si aprono sotto i suoi portici, come quella del maniscalco, dello stampatore, dello speziale, ecc. Spazi che, durante la Fiera, sono stati per la maggior parte occupati dagli artigiani appartenenti ai vari gruppi di rievocazione: venditori di stoffe, falegnami, artigiani del cuoio, usbergai, che, lavorando “in diretta”, hanno stimolato la curiosità dei visitatori.
C’è anche, però, chi nel Borgo non solo ci lavora, ma ci abita addirittura: è Mastro Corradin, la cui famiglia gestisce la Bottega del Ferro nella Casa di Bussoleno dal 1977, da due generazioni. Chi meglio di lui può dunque raccontare il Borgo e i cambiamenti che ha attraversato nel corso degli anni?
– Il Borgo Medievale è sempre stato un museo anomalo, né “finto” né “vero”, – osserva. – La battaglia, che continua ancora oggi, è quella di conferirgli la dignità di museo, e non solo di “attrazione turistica”. Devo dire che negli ultimi anni si sta spesso commettendo l’errore di utilizzarlo come “contenitore” di iniziative che talvolta non hanno nulla a che fare con l’ambientazione: invece il Borgo dà un’opportunità straordinaria al visitatore, quella di poter conoscere la cultura medievale in tutti i suoi aspetti.

L’aspetto che Mastro Corradin tenta di far conoscere del Medioevo è quello dell’artigianato, soprattutto quello legato alla lavorazione dei metalli, venendo da cinque generazioni di fabbri. Nel suo laboratorio, lo scorso aprile, ha perfino organizzato uno stage sulla forgiatura cui hanno partecipato iscritti anche da Oltralpe. Particolare, questo, di cui Mastro Corradin va molto fiero:
– Per me vuol dire mantenere viva una tradizione artigianale che oggi è quasi o del tutto perduta. Questo stage è stato un arricchimento anche per me: mi ha dato l’opportunità di conoscere molti giovani che hanno serie intenzioni di mettere a disposizione le loro capacità manuali e di essere pronti ad acquisirne di nuove. Purtroppo, però, nei loro occhi si legge la frustrazione di non riuscire a trovare collocazione all’interno di un mondo che dal reale si è trasferito sul virtuale. Anche per questo, per me, il Borgo è una risorsa importante: rappresenta un luogo dove ritrovare la fisicità, la materialità di un oggetto di ferro battuto fatto a mano o di un abito storico cucito con i metodi del Quattrocento. Qui la Storia può diventare qualcosa di vero, di materiale, che non riguardi solo la mente ma anche il corpo.»

Le risorse, dunque ci sono: c’è un’ambientazione unica, che ha più di 130 anni di storia sulle spalle; ci sono le risorse umane, come la Fiera di Fine Estate ha dimostrato.
Perché dunque limitare questo sodalizio tra il Borgo Medievale e la rievocazione a uno o a pochi episodi all’anno, e non restituirgli invece lo scopo per cui è stato creato, quello di primo archeopark della storia? Perché questo complesso, forse unico nel suo genere in Italia, non può divenire un’installazione fissa gestita dai rievocatori, una “macchina del tempo” attiva tutto l’anno con laboratori artigianali e didattici permanenti e creare così una realtà completamente nuova e “competitiva” al livello europeo?

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