Dame e principesse: tutta la verità

A cura di Federica Garofalo
Immagini fornite dalle Associazioni

Si può dire che negli ultimi anni il mondo delle fiabe sia stato attraversato da una vera e propria rivoluzione: la scomparsa della principessa. Già, perché il pensiero femminista, mettendo la fiaba sotto la sua lente d’ingrandimento, ha finito per considerare la principessa uno stereotipo negativo per le future donne, una “fanciulla in pericolo”, ingenua e delicata, che per venire fuori dai guai in cui è finita ha bisogno del suo “principe azzurro” (un uomo) e il matrimonio con lui rappresenta la sua massima aspirazione. Un cliché che insomma dovrebbe essere demolito, a vantaggio di un’eroina che si salva da sola, niente affatto docile e che tiene il “principe azzurro” fuori dal suo orizzonte. La protagonista delle fiabe moderne, insomma, è la guerriera, che basta a se stessa, e per se stessa combatte.

Ma siamo sicuri che la principessa sia un personaggio oramai sorpassato, da relegare ai “brutti vecchi tempi”, quando la donna era sottomessa? Secondo l’esperta di fiabe Rosa Tiziana Bruno «bisogna innanzitutto riflettere su cosa vuol dire la parola, ‘principessa’. In Latino “principissa”, per nostra sorpresa, è la versione medievale al femminile di una parola che nell’antichità si declinava soltanto al maschile. Nel mondo romano, infatti, il princeps era il primo, colui che tiene il primo posto, soprattutto sui campi di battaglia; era il titolo che assumeva il primo imperatore, Augusto, per innalzarsi al di sopra dei suoi pari. Nel Medioevo, dunque, a differenza dell’antichità, anche una donna può tenere il primo posto. E il primo posto, si sa, non è mai facile da guadagnare, nemmeno per eredità. Nella società medievale, da una principessa ci si aspetta molto: cultura, finezza, garbo, forza, equilibrio, coraggio.»

Come ci si aspetta molto da quello che è per eccellenza il personaggio femminile dei romanzi cavallereschi, e che ricalca un po’ la “principessa” delle fiabe, che non è né la “fanciulla in pericolo” né la guerriera: è la Dama (o la “damigella” se non è ancora sposata), la Domina in Latino, la Signora. La Dama è il motore della vicenda, detiene l’amore, la causa scatenante di tutte le avventure che il cavaliere dovrà attraversare; e al tempo stesso è la sua educatrice, lo istruisce alle regole della cortesia, ingentilisce l’aggressività del guerriero e lo spinge a usarla per dimostrare il suo valore e diventare degno di lei, come fa la stessa regina Ginevra con Lancillotto. «La fiaba, strettamente legata alla società, rispecchia pienamente il modo medievale di concepire l’idea di “principessa”,» sottolinea Rosa Tiziana Bruno «e per dimostrarlo possiamo pendere come esempio una delle fiabe più note in assoluto, Cenerentola: ma dobbiamo prenderla nella versione più antica conosciuta in Occidente, quella uscita dalla penna del Napoletano Giambattista Basile all’inizio dei Seicento.»

In effetti, il primo obiettivo di Cenerentola, il cui vero nome per Basile è Zezolla (diminutivo napoletano di “Lucrezia”) ma chiamata dalla matrigna e dalle sorellastre “Gatta Cenerentola”, non è affatto l’uomo: è semplicemente andare al ballo, sentirsi di nuovo bella dopo esser stata trattata come una serva per anni. «Saranno poi le sue doti morali» spiega la Bruno «a permetterle di diventare regina sposando il re (non il principe come nelle versioni successive). Ha bisogno di abiti sfarzosi per essere ammessa a palazzo, tra gli invitati alla festa, come le convenzioni sociali impongono, ma non saranno quegli abiti e nemmeno la sua bellezza esteriore a far innamorare il re, tantomeno il caso o la fortuna: Cenerentola è bella perché ha coltivato le sue doti morali, ha sopportato con pazienza il male ricevuto senza mai ricambiarlo; si e presa cura per anni, giorno dopo giorno, gratuitamente, della piantina che le ha portato il padre al ritorno dalla Sardegna, senza sapere che poi da lì sarebbe uscita una fata; ha conservato dentro di sé la forza del desiderio, nonostante le avversità. Non solo, anche nell’occasione del ballo (e degli altri due che il re darà per rivederla) sa rispettare la parola data, per ben tre volte lascia il palazzo a mezzanotte, a costo di perdere la sua scarpetta d’oro: e così al tempo stesso educa il re a rispettarla, a tenere la giusta distanza da lei, se la vuole dovrà prima renderla sua regina. La sua forza morale, la sua dignità e la sua onestà le faranno così guadagnare il primo posto nella società, rendendola una Regina, una Dama, una Signora. Cenerentola ha meritato la sua felicità, una felicità conquistata e faticata, ma proprio per questo possibile per ogni donna, perché ogni donna, se coltiva i suoi punti di forza e alimenta la propria dignità, può essere certa di trovare un primo posto da qualche parte. Questo è il messaggio delle fiabe: tutte le donne sono chiamate a diventare principesse, a guadagnare un primo posto, coltivando la parte migliore di sé.»

Ma è davvero così o sono solo fantasie da fiabe?  «Le fiabe non sono mai soltanto fantasia: contengono la realtà, applicabile alla nostra vita quotidiana, anche se impastata d’immaginazione», ci ricorda Rosa Tiziana Bruno.

E non c’è modo migliore per scoprirlo che bussare ancora una volta, come già facemmo per il personaggio del cavaliere, al mondo della rievocazione storica, e di quella che si occupa di Medioevo, l’età che ha inventato la Dama.

Abbiamo scelto 15 donne che interpretano donne di alto rango all’interno di gruppi di rievocazione medievali, e abbiamo posto loro cinque domande.

1) Quale personaggio interpreti, e come ti ci sei avvicinata?

2) Come hai costruito il tuo personaggio? Cosa ci hai messo di te e cosa di storico?

3) Come ti senti riguardo alla tua femminilità quando sei in rievocazione rispetto a quando indossi gli abiti civili?

4) In rievocazione qual è il tuo rapporto con gli uomini? Come ti senti vista da loro? Hai percepito dei cambiamenti nel corso degli anni?

5) Quali attività svolgi in rievocazione, e come ti senti mentre le svolgi? Percepisci una differenza rispetto a quelle che svolgono gli uomini? Ti senti valorizzata o sminuita?

Dalle risposte è emersa anzitutto l’importanza dell’abito e degli accessori: l’abito, l’eleganza, la cura del compito permette un riscoprirsi più femminile, una maggiore possibilità di sentirsi donna rispetto alla routine quotidiana. Vestire i panni di un personaggio così attento alla valorizzazione della propria funzione di custode della gentilezza e della bellezza è un modo per riscoprire il ruolo di una donna che non rincorre la mascolinità, ma si riscopre nel suo vero essere.

Emerge anche un senso di libertà che interpretare la dama permette, ossia il mostrare parti di sé che nella vita quotidiana vengono messe da parte.

Ciascuna tra queste donne si sente valorizzata nella compagnia, e da questo si deduce che, se l’uomo cavaliere è capace di valorizzare il ruolo femminile senza sminuirlo, le “cose da donne” non vengono percepite come da disprezzare. Il che non impedisce alle intervistate di essere attirate dal combattimento e dall’azione, ma vestendo gli abiti della Dama riescono a stare bene in un ruolo diverso.

Insomma, le donne, nel personaggio della Dama, valorizzano la loro libertà, migliorano l’autostima e la loro bellezza e sicurezza personale, anche se non tutte sono pienamente consapevoli del potere emotivo e delle trasformazioni interne che questa interpretazione offre loro.

«Stiamo dunque attenti all’idea che la figura della principessa nella fiaba possa essere offensiva per la donna moderna,» conclude Rosa Tiziana Bruno: «perché è un’idea non corretta! Nelle fiabe non ci sono stereotipi, perché sono storie magiche e piene di verità emozionali e sociali, in cui l’umanità intera può specchiarsi. Certo, bisogna distinguere tra letteratura fiabesca autentica e certe riduzioni letterarie o cinematografiche: gli stereotipi o i messaggi offensivi vengono tutti da lì, non dalle fiabe.»

Perché il “c’era una volta” delle fiabe vuol dire “c’è ancora e ci sarà sempre”.

 

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